Per ricordare l’anniversario della prima edizione della novella Giulietta e Romeo, finita di scrivere nel 1524 dal letterato vicentino Luigi Da Porto, e l’anno 1724, che fissa il completamento di questa Villa da parte degli eredi della famiglia Da Porto, l’artista spagnolo Jorge R. Pombo ha pensato di prendere ispirazione dal famoso quadro di Francesco Hayez dal titolo Il bacio e di realizzare una sua opera da collocare nella grande cornice, in gesso, che fa bella mostra di sé nell’ampio salone centrale della villa.
Il bacio di Hayez rappresenta il momento fatale e solenne nel quale si arriva al culmine di una relazione amorosa tra un uomo e una donna, e Pombo, al di là dei valori intrinsechi, del peso storico e del fascino del soggetto originario, con il suo intervento ne sintetizza i grandi valori pittorici. Egli arriva a esaltarne le specifiche qualità e a reincarnarlo portandolo a nuova vita.
Anche se l’azione del bacio, come Pombo sostiene, diventa “meno romantica e più carnale, più sessuale e prosaica”, la sua opera finale arriva a sminuire ogni riferimento formale: la parte cromatica viene riassunta in pochi ma determinanti colori e il loro tono sfumato crea una sorta di leggera velatura che rende l’opera quasi eterea; solo il colore azzurro, attenuandosi verso l’alto della tela, più degli altri, è rimasto a ricordare le sembianze di una figura femminile. Egli chiarisce che “con il senso dell’ascensione volevo rappresentare il senso di perdita della realtà”, cioè una fuga “dalle cose banali di questa esistenza, come quando baciamo davvero per amore”.
Con la cancellazione delle forme concrete e terrene, Pombo fa perdere ai protagonisti ogni riferimento storico e li pone su una dimensione afisica e atemporale. Si sa che etereo ed eterno sono, anche se con significati diversi, semanticamente vicini; eterno non ha principio e fine, mentre etereo non ha una forma definita, è incorporeo; ciò non toglie che i due aggettivi possano coesistere. Lo possiamo affermare se consideriamo che la materia concreta è destinata a evolversi e forse a scomparire, come ipotizzano i buchi neri, mentre i gas, come elementi chimici primari, sono sono stati la materia base costituente dell’universo e ancora sono il propellente principale delle stelle.
Pombo ha sempre avuto l’obiettivo di cancellare la parte narrativa di qualsiasi soggetto, ritenendola non dico superflua, ma deviante dal valore pittorico intrinseco all’opera. Con questo quadro egli ci ha condotti verso la visione di un lavoro che mostra una narrazione solo timidamente accennata. I personaggi, da semplici persone fisiche, si trasformano in esseri privi di consistenza, immateriali e dotati solo di spiritualità. Egli ci porta verso una visione irreale e fantastica, fatta di sfumature appena abbozzate, di soffici cirrocumuli senza meta, verso una presenza fatta di colori immaginati e non definiti. Così facendo egli ha trasferito il pensiero dell’osservatore su un piano meno inquadrabile dal punto di vista cronologico e storico e ha dato libero sfogo all’immaginazione di ciascuno spettatore.
Osservando con più attenzione questa sua opera, risulta del tutto naturale che la nostra mente ci spinga verso quel misterioso intreccio di pensieri, emozioni e sensazioni che caratterizza ogni essere umano e che è sempre stato un terreno fertile per esplorare l’essenza stessa dell’esistenza, che alla fine ci porta verso il pensiero dell’anima. Non so quanto Pombo sia credente (a volte c’è più religiosità in chi non professa rispetto a chi ostenta la propria devozione) e se sia convinto che tutti abbiamo un’anima che sopravviverà al nostro corpo. Ma guardando queste sue opere il dubbio che essa esista veramente viene spontaneo. Come d’altra parte viene spontaneo pensare che i due personaggi hayeziani che si danno quel sublime bacio, oltre a trasferire l’un l’altro, con il respiro, il proprio sentimento d’amore, trasmutino anche la propria anima.
Il grande poeta Ugo Foscolo, nel Carme dei Sepolcri, scriveva “celeste è questa corrispondenza d’amorosi sensi”, e se Hayez è riuscito rappresentare in maniera sublime questo atto di corrispondenza, Pombo è andato oltre ed è riuscito a rappresentare in maniera dilatata e silenziosa la trasposizione dell’anima. Questo mi ha portato a domandarmi se le anime si possono fondere assieme o se esse rimarranno sempre separate in attesa di rientrare nel corpo di ognuno al momento del Giudizio Universale. L’artista ha già sfiorato questo tema nel suo enorme progetto di rivisitazione della Cappella Sistina, capolavoro assoluto di Michelangelo, rivisitazione da lui completata per la parte che raffigura il Giudizio Universale e che è stata recentemente esposta proprio in questa sala della Villa Da Porto.
Però, nel suo Giudizio Universale, Pombo non ha voluto dissolvere le figure in maniera totale, ma ha mantenuto molto delle loro sembianze originarie, non credo solo per dare maggiore forza e riconoscibilità all’opera pittorica, ma con l’idea o meglio l’illusione che esse si possano più facilmente “riconoscere” al momento della risurrezione dei corpi. Qui, con l’opera di Hayez, egli ha voluto spingere oltre la spersonalizzazione delle figure dei due amanti e le ha “aggredite” in maniera più decisa, forse, e qui riprendo quello che ho scritto in precedenza, con l’intenzione di arrivare fino all’anima dei due personaggi.
Il tema dell’anima nell’arte è un tema che ha affascinato gli artisti di ogni epoca e che continua a stimolarne la creatività. Non so se Pombo proseguirà ancora in questa ricerca dell’anima e se in futuro questa indagine lo porterà a cancellare totalmente la figura umana per rappresentare di ciascuno solo l’idea di anima. Se lo facesse, se diventasse una sua prospettiva, non sarebbe un’impresa impossibile; la sua creatività non troverebbe ostacoli e sarebbe facilitata dal fatto che nessuno ha finora mai visto l’anima.
Pensando a queste cose mi sono ricordato che, secondo la tradizione popolare, nei sotterranei di Villa Da Porto aleggia un fantasma. Ad alimentare la credenza esistono anche degli scatti fotografici che lo ritrarrebbero. Quello che compare è una forma non definita, lontanamente corporea, sembrerebbe un fumoso insieme gassoso fatto di svolazzanti nuvolette. Non esiste e non trova gradimento una spiegazione scientifica; questo fantasma ha sempre rappresentato, per gli ignari ma curiosi visitatori, una piacevole e insolita compagnia. Ma se egli fosse veramente la reincarnazione del novelliere Da Porto, sono certo che i nuovi “spiriti” introdotti da Pombo, considerandoli anche un sentito omaggio alle sue doti di letterato, saranno in buona armonia con lui.
Una domanda, infine, che spesso mi faccio, riflettendo sullo stile di Pombo, è quanto egli, una volta scelto il pittore e l’opera su cui intervenire, si immerga nella realtà dell’autore o nelle trame del soggetto o delle vicende da lui rappresentate. Questo interrogativo me lo fa avvicinare ai grandi direttori d’orchestra o ai grandi musicisti diventati famosi per le loro interpretazioni e mi fa ricordare la celebre definizione schopenhaueriana della musica come “riproduzione dell’essenza del mondo”.
Quel che la musica fa, è rivivere il significato più profondo che il testo vuol dire, ossia immergersi con tutto il proprio animo nel senso stesso della rappresentazione: se la filosofia esiste per comprendere il significato e l’arte per ammirare la bellezza della natura, la musica esiste per vivere le emozioni del sentire e quindi dell’essere. Platone, quando parlava di musica, diceva che essa può essere la cura dell’anima, perché facilitando il contatto con la propria interiorità, permette di ascoltarsi; così Jorge, nell’atto conclusivo della sua interpretazione creativa, esprime l’essenza di tutto questo e ci fa rivivere le emozioni sue e di chi ha concepito quell’opera. E, oggi più che mai, il desiderio di astrarsi dalla realtà contingente viene avvertito come un’esigenza vitale e un imperativo categorico; vorremmo tutti lasciarci trasportare in un mondo sublimato dalla bellezza e dall’armonia di un capolavoro.
Antefatto. Come si è arrivati a Francesco Hayez
Tutte le volte che mi recavo a Montorso Vicentino ed entravo nella Villa Da Porto Barbaran rimanevo stupito e quasi intimidito dalla grandezza del salone centrale, ma nello stesso tempo rattristato per le sue condizioni. Pareti senza intonaco, crepe e buchi ovunque, certo ferite del tempo, ma nessuna traccia dei fasti passati. Solo i resti di una grande cornice in gesso che, come una anziana signora decaduta ma ancora orgogliosa, faceva bella mostra di sé sulla parete di destra. Ed era proprio questo l’elemento architettonico che più volte aveva attirato la mia attenzione, quella dell’amico e collaboratore Paolo Mozzo e soprattutto quella dell’artista Jorge R. Pombo, tanto che abbiamo cominciato a discutere se fosse stato possibile trovare una soluzione pittorica per dare un qualche valore al salone, partendo proprio da quella cornice. L’idea che abbiamo condiviso era quella che Jorge avrebbe potuto realizzare un dipinto e posizionarlo nella cornice vuota. Ci si è posti la domanda su chi scegliere come autore o a quale opera fare riferimento, opera sulla quale poi Jorge avrebbe potuto intervenire con la sua visione artistica. Dobbiamo ricordare che la villa in cui ci trovavamo fu costruita, in perfetto stile palladiano, dalla famiglia vicentina Da Porto tra il secolo XVII e il XVIII, fu terminata di ristrutturare nell’anno 1724 e che uno degli antenati della famiglia fu il letterato Luigi da Porto, che visse proprio a Montorso ed è passato alla storia perché nel 1524 terminò di scrivere la famosa novella di “Giulietta e Romeo”, quella che poi ha ispirato il dramma di Shakespeare.
Ripensando a questa vicenda ci è venuto naturale l’accostamento con il famoso dipinto Il bacio, eseguito dal pittore Francesco Hayez nel 1859.
Ne abbiamo discusso assieme, ma Jorge non è rimasto subito entusiasta del suggerimento: conosceva il quadro, ma non così a fondo, e poi apparteneva a un periodo storico un po’ lontano dal “suo” rinascimento. Così, come sua abitudine, da vero catalano e in ossequio al suo carattere diffidente e timido, senza mostrarsi precipitoso, si è riservato di rifletterci. Io, invece, fin da subito mi sono personalmente convinto della bontà della scelta e ho fatto di tutto per convincere sia Jorge e sia Paolo.
Fino a quel momento non sapevo che Hayez avesse già affrontato il tema shakespeariano, ero convinto che Il bacio fosse la sua unica opera incentrata sulla famosa tragedia. Questa circostanza non mi ha sorpreso, perché tanti avvenimenti più o meno importanti si sono verificati partendo da un equivoco. Fra l’altro. la precedente opera di Hayez, dal titolo Ultimo bacio tra Giulietta e Romeo, non ebbe la notorietà che Il bacio riscosse da subito. In molti siamo caduti in questo errore, ma poco male: questo dipinto è un capolavoro assoluto e si addice ancor meglio a rappresentare la passione tra i due sfortunati protagonisti, tanto è vero che Hayez ne fece altre due versioni, diverse ma molto simili: una per l’amica Giuseppina Morosini e una per la famiglia Mylius, opera che sarebbe poi stata esposta all’Esposizione universale di Parigi del 1867.
Dopo qualche giorno di riflessione e, sicuramente, di prove pittoriche, Jorge, che per sua natura è meticoloso e non lascia niente al caso, si convince della bontà della scelta e ci comunica che rifarà in grande e a modo suo Il bacio di Hayez. Ci dice anche che, prima di arrivare alla monumentale opera finale, egli pensava di realizzarne alcune versioni di dimensioni inferiori. Cosa che puntualmente ha fatto ottenendo degli eccellenti risultati, dato che l’opera originale si è prestata, a suo dire, in maniera docile e accondiscendente, a essere “slavata” e “spogliata”, pronta a ritornare, con il tacito consenso del da Porto, a nuova vita.
Compendio
Francesco Hayez (nato a Venezia il 10 febbraio 1791 e morto a Milano il 12 febbraio1882), è stato un grande pittore italiano del XIX secolo. Dopo aver trascorso la giovinezza a Venezia e Roma, si spostò a Milano, dove entrò in contatto con Manzoni, Berchet, Pellico e Cattaneo, conseguendo numerosissimi riconoscementi e incarichi; tra questi, degna di menzione è la cattedra di pittura all’Accademia di Brera, della quale divenne titolare nel 1850.
Hayez è stato un artista innovatore e poliedrico e il più accreditato esponente dell’Italia ottocentesca. Accostandosi al repertorio mitologico e storico, il suo stile è molto vicino alla sensibilità romantica, che egli però reinterpreta alla luce di una stagione spiccatamente classicheggiante e accademica, in netto contrasto con il resto dell’Europa, che vide l’affermarsi di figure quali Friedrich, Turner, Goya e Delacroix. Notevole influenza ebbero la sua ammirazione per il pittore Raffaello Sanzio e soprattutto la sua amicizia con lo scultore Antonio Canova. Altra peculiarità dello stile pittorico di Hayez è il realismo, che si manifestava attraverso un’efficace e audace trasposizione del vero. Infine, molte sue opere, solitamente di ambientazione medioevale, contengono un messaggio patriottico risorgimentale non dichiarato.
Hayez, oltre ad avere realizzato una serie di ritratti di importanti personalità del tempo, dove raggiunse i risultati espressivi più alti, è l’autore del celebre dipinto Il bacio. Trattasi di un dipinto a olio su tela (112×88 cm) realizzato nel 1859 e conservato alla Pinacoteca di Brera.
Il dipinto, collocato in un contesto medievale, raffigura due giovani innamorati che, in un clima di romantica sospensione, si stanno baciando con grande passionalità. Per la travolgente carica emotiva, la raffinata scenografia e il forte valore civile, l’opera è considerata il manifesto dell’arte romantica italiana. Anche la scelta cromatica del quadro, che sintetizza i cambiamenti politici che hanno contrassegnato l’Italia di quel tempo, ha contribuito a farla assurgere a simbolo degli ideali nazionalisti e patriottici del Risorgimento, tanto è vero che la coppia hayeziana viene considerata come personificazione dell’Italia unita: “La pelle di lei è la pelle dell’Italia intera. Il suo corpo è nazione. La sua bocca è il punto dell’Unione. Non c’è [...] separazione, non c'è contrasto tra donna e patria”.
Per questi motivi Il bacio riscosse un grande successo popolare, tanto che Hayez lo riprodusse in altre due versioni, con piccole modifiche fra l’una e l'altra.
Confronto
C’è un altro motivo che giustifica e che da ampio valore alla scelta operata da Pombo nel prendere in considerazione questo capolavoro di Hayez, essa deriva dalla similitudine fra i due pittori, similitudine che si può evincere dalla lettura di ciò che Giuseppe Mazzini ebbe a scrivere sul pittore milanese “L’Hayez è lavoratore assiduo; trascorre le intere giornate solo, nel suo studio, di cui apre egli stesso la porta, e non ha nulla di quell’affrettata apparenza che è prediletta da tanti pittori. Le sue maniere sono semplici, franche, talvolta rudi e burbere, ma che tradiscono sempre la bontà. Il suo viso bruno è aperto e pieno d’espressione: la sua fronte serena, i suoi occhi brillanti”.
Biografia di Jorge R. Pombo
Jorge R. Pombo è un pittore autodidatta nato a Barcellona (Spagna) nel 1973.
All’età di 24 anni, nel 1998, si trasferisce a Parigi, attratto istintivamente dall’arte e dalla storia di questa città. Nel 1999, tornato a Barcellona, inizia una serie di soggiorni in luoghi di contrasto culturale, cominciando dall’Artico, in particolare dalla Groenlandia e dalla Siberia, inizialmente affascinato dai paesaggi ghiacciati e dalle condizioni climatiche estreme. In seguito farà lo stesso in altri luoghi, come il Tibet e l’India.
Mosso da una naturale curiosità antropologica, nel 2010 si trasferisce a New York, sedotto dalla sua energia caotica. Qui risiederà per quasi cinque anni, approfondendo lo studio dei pittori espressionisti astratti e, soprattutto, dei principi del Black Mountain College. Nel 2015 cambia nuovamente residenza, trasferendosi a Reggio Emilia, e ancora nel 2024 a Firenze.
La chiave per comprendere la sua proposta artistica è il concetto di “lotta degli opposti”: figurazione contro astrazione, immagine narrativa contro processo di natura astratta, immagine contro parola, l'eccellenza delle icone della storia della pittura europea contro un quadro privo di messaggi. Questo lo porta a utilizzare strumenti come la pittura bianca con il rullo, tipica degli imbianchini, cioè di coloro che dipingono senza concetti o idee, svuotando le immagini del loro contenuto. Il suo posizionamento è un omaggio e al contempo una iconoclastia verso la pittura stessa.
Sandro Orlandi Stagl
Artworks